Un milione di volte

Photo by Max Laurenzi

Si incontrarono, quando lei aveva deciso di smettere di soffrire, quando aveva chiuso con i sentimenti, quando aveva indossato la più resistente delle armature. Si incontrarono perché il destino fa così, aspetta che tu te la sia fatta passare per torturarti ancora, per far crollare i tuoi più solidi propositi. Era sicura che non si sarebbero più rivisti, che lui avrebbe fatto di tutto pur di non incontrarla. Si era sbagliata, il destino aveva già tessuto la sua trama, non aveva vittime più adatte per quello strano gioco che voleva provare da sempre, di questi due “intimi sconosciuti”.

Così era successo. Un tardo pomeriggio di fine settembre, quando le giornate sono un po’ più corte ed è bello fare due passi in centro con la luce del sole che si avvia al tramonto. Due passi prima di tornare a casa per la cena; due passi non frettolosi per poter dare una scorsa alle vetrine che, oddio!, espongono articoli invernali. Con questo caldo!

Ama camminare con la luce rossastra del sole negli occhi; si incrociano solo sagome scure, si corre il rischio di non salutare qualche conoscente, perché in controluce non si distinguono i volti, ma è così bello lasciare che gli occhi si riempiano di questa luce calda e limpida, per poi alzarli ed immergersi nel cielo blu, da cui qualche stella comincia a fare capolino.

Sono tante le persone che le passano accanto, qualcuna va di fretta, qualcuna trascina l’ombra recalcitrante di un cane che deve annusare ogni centimetro di marciapiede; altre sembrano saltellare, si spostano con passo disordinato da un lato all’altro, sono ragazzi, beata gioventù; qualcuna arriva lentamente, con passo affaticato, magari aiutata da un bastone o appoggiata ad una figura più in forze, una badante, è un bel momento anche per gli anziani, quando c’è meno confusione e il caldo è meno opprimente; sì perché quest’estate sembra proprio non volersene andare.

Poi lui. La sua sagoma inconfondibile. In realtà simile ad altre mille, ma lei la riconoscerebbe ovunque. Non lei veramente, ma il suo cuore che per una frazione di secondo sprofonda nel suo corpo come inghiottito da un buco nero.

Aveva istintivamente rallentato il passo. Anche lui, le era sembrato, ma poteva anche solo averlo immaginato. E poi era ripartita decisa, come i cavalieri che si sfidavano in una giostra medievale.

Si erano incrociati, forse lui si era girato a guardarla, ma lei aveva tirato dritto, non poteva fermarsi, doveva prima riuscire a ripescare il cuore dall’abisso in cui si era tuffato. Lo sentiva battere all’impazzata nelle tempie, nelle gambe che stavano tremando; no, non poteva correre il rischio di svenire davanti a lui, sì, era così che si sentiva, si sentiva svenire.

Aveva proseguito ancora per qualche metro, poi si era voltata, lui era ancora là, fermo, non era girato verso di lei, di sicuro l’aveva riconosciuta; che sciocca!, lei non era in ombra, lei era in pieno sole, certo che l’aveva riconosciuta!

Si era fermata davanti alla vetrina di una caffetteria, ed era stato lì che mi aveva vista.

-L’ho incontrato. Adesso.-

-Tutto bene?-

-Mi manca il fiato, ho il cuore che sta per scoppiare, ma a parte questo sto bene.-

-Ti ha parlato?-

-No, non ho avuto il coraggio di fermarmi, di parlare, ho capito che era lui anche se avevo il sole negli occhi… e poi sono scappata.-

Era stato quel momento che qualcuno si era avvicinato a lei e le aveva posato una mano sulla spalla.

-Ciao…-

Potevo sentire quei due cuori battere furiosamente all’unisono e le migliaia di frasi in attesa sulle loro labbra. Mi sentivo trasparente, li ho lasciati soli.

E così si erano incontrati, guardati. Gli occhi dell’uno persi negli occhi dell’altra, si erano parlati, chiariti, spiegati, avvicinati, sfiorati, toccati e dopo essersi toccati si erano annusati, assaggiati, accarezzati, abbracciati, avvinghiati, assaporati, posseduti fino a non distinguere le loro anime una dall’altra e poi, qualcosa che lei aveva sempre saputo, quello che non era frutto della sua immaginazione, era la voce di lui quella che sentiva adesso:

-…sapevo che sarebbe stato così…-

-Perché?-

-Perché l’ho sognato un milione di volte…-

Photo by Max Laurenzi

 

 

Anno nuovo, pagina bianca.

Buon Anno!

Il 2017 che tanto abbiamo temuto se n’è finalmente andato, lasciando dietro di sé trecentosessantacinque giorni non facili, almeno per quanto mi riguarda da vicino, ma ai quali sono comunque sopravvissuta.

Ogni anno che inizia ci vede davanti alla classica pagina bianca, la prima di un nuovo capitolo della nostra vita da riempire, ricchi di buone intenzioni: “Quest’anno curerò di più il mio aspetto”, oppure “quest’anno mi iscriverò in palestra” o ancora “quest’anno farò quel viaggio che desidero fare da sempre” e tanti altri buoni propositi, ma spesso nessuno di questi viene realizzato.

Io non sono certo l’eccezione, anzi ho detto talmente tante volte farò, sarò, andrò, dirò che poi non ho messo in pratica, da convincermi a non fare nessun progetto per questo 2018 che ha appena aperto gli occhi.

Tutto quello che farò, penserò, scriverò, realizzerò, costruirò, riceverò sarà ben accetto; nessun obiettivo da raggiungere, nessun sogno da realizzare, nessun impegno da prendere.

Vivrò alla giornata, accettando quello che ogni giornata mi porterà, in bene o in male (perché si sa che non viviamo propriamente in paradiso), godendomi i successi e riflettendo sulle sconfitte, senza sentire quella vocina che ti dice: “Avevi promesso che, entro l’anno…”.

Questo non significa che non abbia sogni o desideri, semplicemente ho tolto le scadenze che servono solo ad aumentare l’ansia e ho scelto di avere una sorpresa ogni giorno.

Ecco fatto, la prima pagina del nuovo anno non è più bianca…

Buon proseguimento.

 

photo by R.Pietresato

 

La cucina di Due streghe e un pezzetto -Cheeseburger

Stasera finale Juventus vs Real Madrid. La streghetta che se ne va per i fatti suoi, con i compagni di classe a festeggiare la fine della scuola e poi a godersi la partita sul maxischermo approntato nel parco dietro casa, e noi, poveri vecchietti che facciamo?

Ho riproposto quindi questo cheeseburger, che è qualcosa di davvero speciale, almeno per me che “non è hamburger se non è cheeseburger”, a voi provare e giudicare.

Panino al latte grande, hamburger homemade con macinato sceltissimo, insalata riccia, perché può dare quel tocco di amarognolo che non guasta nemmeno a chi non ama la rucola, mela fuji tagliata sottile, mayonese, meglio se fatta in casa, con l’aggiunta di mirtilli rossi (io ho usato quelli disidratati) tritati abbastanza finemente.

Il formaggio in questione è un capra, semi-stagionato, proveniente dalla zona delle Langhe, acquistato al mercato contadino di Alba (CN).

Qualunque sarà l’esito di questa partita, buon appetito!

 

P.S. Il pane deve essere scaldato leggermente nella parte interna…

 

 

Si torna a viaggiare

Tutte le famiglie, e la nostra non costituisce certo un’eccezione, hanno i loro problemi, grandi o piccoli che siano. Problemi, intoppi, imprevisti, impedimenti, possiamo chiamarli come ci pare, sta di fatto che i nostri impegni si spostano, le abitudini cambiano e la normale routine viene stravolta.

Dopo le vacanze estive dello scorso anno le nostre uscite del fine settimana si erano ridotte di parecchio. Un po’ per i motivi elencati qui sopra e un po’ perché il nostro equipaggio è aumentato di un’unità: è arrivata Chloe, la nostra piccola gatta nera.

Così, piano piano, un passo alla volta, abbiamo iniziato a portarla in camper, dapprima molto vicini a casa e poi un po’ più in là, prima una notte, poi due, poi tre… La prima volta ci ha lasciati dubbiosi, piangeva, non voleva stare nel trasportino, non voleva il guinzaglio… tolto tutto e presa sulle ginocchia non ha più fiatato.

Per Pasqua la nostra meta è stata dapprima Castel Del Rio, in provincia di Bologna, un paesino piccolissimo consigliato da una rivista di turismo itinerante, il cui ponte ci ha lasciati senza parole e senza fiato dopo la salita, tanta era la pendenza. Nel Medioevo era l’unico ingresso per il paese e al suo interno si trovavano i posti di guardia per il pagamento del pedaggio; noi pensavamo a quei poveri animali che dovevano trainare i carri colmi di merce su per quel ponte…

Ci siamo poi diretti verso Ravenna, dove ci siamo fermati per poter visitare comodamente la città, temporali permettendo.

La città è una delle mete tradizionali delle gite scolastiche, credo che ognuno di noi sia stato almeno una volta a Ravenna, ma tornarci (come in altre città d’arte, del resto) non è mai monotono, i mosaici del Mausoleo di Galla Placidia, Sant’Apollinare Nuovo, la Basilica di San Vitale, il Mausoleo di Teodorico, la tomba di Dante Alighieri… si rivedono ogni volta con occhi diversi.

Torniamo a noi, siamo arrivati al ponte lungo del 25 Aprile, tenuta Matilde a casa da scuola (sì, perché mai una volta che le fermate scolastiche coincidano con le nostre ferie), siamo partiti sabato mattina con l’intenzione (almeno da parte mia) di raggiungere la Toscana, magari la Maremma, per una vacanza più che altro gastronomica, poi al papà è venuta un’idea:- Perché non andiamo verso Poppi, Stia, dove è stato girato “Il Ciclone”?-, eh beh, sempre Toscana era… Prima tappa: Stia (AR)

Trovata l’area di sosta comunale, con tanto di elettricità e completamente gratuita, dopo un pranzo in camper ci siamo avviati verso il paese.

Vedere la piazza e immaginare di trovarsi all’interno del film, sentendo addirittura le musiche in sottofondo è inevitabile, almeno per chi, come noi, ha vissuto quegli anni con la stessa età dei protagonisti.

Una passeggiata, una piccola sosta in una bottega che vende prodotti tipici e poi di ritorno alla base; l’area sosta sorge lungo il corso dell’Arno, e in questa zona hanno aperto uno di quei “parchi avventura”, quelli in cui bambini e non possono arrampicarsi sugli alberi e fare percorsi con le funi, i ponti di corda… è ancora un periodo tranquillo, ci si ferma per la notte e l’indomani si parte con meta: Poppi.

La giornata non era delle migliori, faceva addirittura freddino, per fortuna la pioggia ci ha risparmiati.

Il Castello di Poppi merita assolutamente una visita, solo per l’immenso cortile d’ingresso, con le scalinate che facevano un po’ pensare a “Hogwarts”, non so perché ma mi davano l’idea di potersi muovere da un momento all’altro.

Poi le sale, le scuderie che adesso ospitano esposizioni artistiche, la sala d’armi che è diventata il bookshop del castello (peccato!) e quella che resterà scolpita nella mia memoria molto, ma molto a lungo, la biblioteca del castello. Senza fiato. Manoscritti sotto vetro, le cui illustrazioni, fatte rigorosamente a mano, sembravano poter uscire dalle pesanti pagine ingiallite. Uno spettacolo per gli occhi, il cuore e l’anima, per quanto mi riguarda. Un profondo senso di rigore, disciplina, severità era ciò che respiravo, provando anche un’immensa gratitudine davanti a tanta cultura custodita nei secoli.

Una volta usciti dal castello, anche la nostra parte di turisti enogastronomici si è fatta sentire, abbiamo perciò cercato un locale che possibilmente proponesse piatti tipici.

Abbiamo trovato “L’antica Cantina” dove abbiamo potuto gustare, tra le altre cose, taglierini con spugnole e tagliata di chianina.

Per la sera ci siamo spostati in direzione Laterina, zona in cui si trova il casolare della famiglia del film, ma alle coordinate per l’area di sosta corrispondeva un ristorante, quindi non ci siamo fermati e abbiamo preferito proseguire per Lucignano, un altro piccolo paesino che si è rivelato un ottimo fuori programma.

La prima cosa bella è stata l’area di sosta (foto di apertura), ampia e praticamente deserta, per di più gratuita, con attacco per elettricità; da qui si saliva a piedi per circa 500m e si era già ad una delle porte del paese, il cui centro storico risale al Medioevo.

Abbiamo percorso vicoli fatti di gradini, in salita e in discesa, abbiamo curiosato nei negozietti e ovviamente comprato i prodotti tipici della toscana, con i quali abbiamo pranzato all’aperto, al sole come tre lucertole.

Ci siamo talmente rilassati che, anziché partire per un’altra destinazione, ci siamo fermati anche per la seconda notte e il mattino dopo, non senza aver fatto scorta di pane sciocco, formaggi e salumi, siamo ritornati sulla strada di casa.

Il “rodaggio” di Chloe si è quasi concluso, ha sonnecchiato durante i vari spostamenti e  anche durante il viaggio di ritorno, senza miagolii spaventati e ipersudorazione.

Adesso si torna a viaggiare.

Alla prossima.

 

 

 

 

 

Che il 2017 abbia inizio

Tavola 31/12/'16Buon Anno!

 

Sono stata assente parecchio tempo, un po’ per impegni della streghetta, un po’ per la solita incertezza che ogni tanto ha la meglio sulla mia voglia di scrivere e pubblicare post qui sul blog.

servizio fotografico

Ad inizio dicembre Matilde ha posato per il suo servizio fotografico di Natale; non abbiamo mai pensato di farlo quando era piccolina, ma quest’anno abbiamo deciso di approfittare dell’offerta della scuola di danza che Matilde frequenta, e così, un sabato pomeriggio, armata di cambi d’abito e di “trucco e parrucco”, è stata protagonista su un vero e proprio set fotografico. Più di un centinaio di foto, una meglio dell’altra (e non vi dico che sofferenza doverne scartare…) che hanno contribuito a renderci, se possibile ancora di più genitori adoranti.

Poi lo spettacolo di danza di Natale, che quest’anno si è fatto notare parecchio per le innumerevoli ore di prova con e senza costumi di scena, prima a scuola e poi in teatro, fino al giorno stesso dello spettacolo, che ci ha tenute in ballo dal primo pomeriggio fino a notte. Un successo! Ma il fatto che il giorno seguente ci si dovesse recare al lavoro e a scuola ha pesato un po’.

Altra novità di Natale sono state le lezioni di danza aperte al pubblico, inviti sparsi ai quattro venti e inviti ricevuti per altri corsi che Matilde non frequenta, ma che vedono impegnate ragazzine della sua stessa scuola media.

Un altro appuntamento a cui non potevamo assolutamente mancare: i colloqui generali del primo quadrimestre; non avevo ancora mai visto in viso nessuno dei nuovi insegnanti di Matilde alle medie, se non la professoressa di italiano e storia e quella di francese. Un misto di curiosità e agitazione, impazienza e timore: -Cosa ci diranno adesso? Sarà davvero come ci racconta quando è a casa o ci diranno che è distratta, svogliata, irrispettosa…- e chi più ne ha, più ne metta; non sapevamo davvero cosa aspettarci, ma devo ammettere che siamo usciti più che soddisfatti, augurandoci che questo sia l’andamento per i prossimi anni.

A questo punto dicembre era ormai giunto agli sgoccioli ed io non avevo ancora scritto nemmeno due righe, o meglio, avevo iniziato diversi post, ma non li avevo finiti in tempo per pubblicarli, tutti cestinati. Non mi riusciva di rispettare una scadenza, accidenti!

Natale. Trascorso all’insegna della tradizione, con la famiglia di mio marito, con i nonni ahimè sempre più curvi sotto il peso degli anni e con i nipoti sempre più grandi, ormai adulti (eccezion fatta per Matilde).

Siamo giunti così all’ultima sera dell’anno, che avremmo voluto trascorrere sul nostro camper lontano da casa, piano sabotato da una brutta influenza che mi ha tenuta chiusa in casa, ma che non mi ha impedito di cucinare; così mi sono sbizzarrita in stuzzichini per l’aperitivo che vi illustrerò nei prossimi appuntamenti con “La cucina di Due streghe e un pezzetto”.

Ed eccoci al 2017!

Devo dire che, a differenza degli anni passati, quest’anno ho davvero avuto l’impressione, il 2 gennaio quando sono tornata al lavoro, di aver “voltato pagina”, di aver aperto un capitolo nuovo, un quaderno nuovo tutto da riempire. Non ho grandi aspettative, non ho progetti particolari, ma ho la consapevolezza che sarò io a scrivere le pagine questa volta, non mi limiterò a leggerle e a metterle in pratica, ma ne sarò l’autrice.

Quindi benvenuto nuovo anno! Che possa essere proficuo per tutti noi!

La cucina di Due streghe e un pezzetto -buongiorno!-

Pancakes con mirtilli rossi e fave di tonka

Pancakes con mirtilli rossi e fave di tonka

Ben ritrovati! Come potrete facilmente intuire dall’immagine, nonché dal titolo, oggi parliamo di colazione.

Non sono quella che si dice “l’esempio” in fatto di colazioni, esco molto presto la mattina e, nonostante mi alzi con notevole anticipo, ho sempre mille cose da fare che mi riducono ad un caffè bevuto al volo mentre mi infilo la giacca; appartengo a quella categoria di persone che al mattino preferiscono stare in silenzio e che, al solo pensiero di mangiare qualcosa, si sentono quasi male, quindi non è un grande sacrificio per me, quello di non potermi sedere a tavola per iniziare la giornata con una sostanziosa colazione.

Tutto questo accade dal lunedì al venerdì, perché come scatta il week end, la Mister Hyde che è in me si risveglia con la voglia di coccolarsi un po’, specialmente il sabato mattina quando marito e figlia sono rispettivamente al lavoro e a scuola.

Così una volta salutati i miei amori, rifocillato il “pezzetto”, ovvero Chloe, la gatta, mi concedo una colazione con la C maiuscola; a volte dolce, altre salata, ma per oggi mi limito a raccontarvi la mia versione dolce.

La ricetta per i pancakes si trova ovunque, per non parlare dei preparati già dosati presenti in commercio, vi voglio però lasciare ugualmente la mia versione, chissà, potrebbe piacere anche a voi.

Pancakes (ricetta base)

Dosi per 8-10 pancakes

125g di farina 00 (o manitoba o un mix di farina e fecola di patate)

1 cucchiaio di zucchero di canna

1 pizzichino di sale

1 uovo

125ml di latte

25g di burro fuso

1 cucchiaio colmo di bicarbonato

fave di tonka grattugiate qb

Mescolare tutti gli ingredienti tra di loro e versare l’impasto ottenuto, con l’aiuto di un piccolo mestolo, su una piastra antiaderente in modo da formare dei dischi di 8-10 cm di diametro; lasciare cuocere fino a quando non si formeranno delle bollicine sulla superficie, quindi girarli e lasciare finire la cottura per un minuto.

Questa è la base alla quale vengono di solito aggiunti aromi (noce moscata, cannella); la ricetta originale comprende anche il lievito per dolci, che io ho sostituito con il bicarbonato; per l’aroma vanigliato uso le fave di tonka .

La prima variante è quella con i mirtilli rossi, se ne possono aggiungere a piacere, anche sminuzzati, al momento dell’impasto.

La seconda variante è diventata la preferita della streghetta Matilde: agli ingredienti di base unisco 2 cucchiaini di cacao amaro e 2-3 cucchiai di gocce di cioccolato bianco e questo è il risultato:

Pancakes cacao e gocce di cioccolato bianco

Pancakes cacao e gocce di cioccolato bianco

Domani è sabato, sbizzarritevi pure, io non mancherò di rendervi partecipi di qualche altro mio esperimento.

Buon week end e buone colazioni.

 

 

La cucina di Due streghe e un pezzetto -fame da film-

Non vi è mai capitato di guardare un film e ritrovarvi con una fame da lupo? A me sempre!

Sarà che sono pochi i film che non abbiano una scena che si svolge in cucina…

In “Twister” per esempio, film sui cacciatori di tornado, c’è una scena in cui tutto il gruppo di ricercatori si ferma per una sosta a casa della zia della protagonista, tempo per una doccia e per una gigantesca e succulenta bistecca con contorno di purè, cavolo e salsa da urlo (come la definiscono loro).

In “Amore, cucina e curry”, ambientato nelle cucine di due ristoranti antagonisti, uno francese e l’altro indiano non mancano certo pietanze golose, ma la cosa che mi ha stuzzicato di più è stato quando Marguerite, ospitando a casa propria la famiglia indiana di Hassam, offre un vassoio di  formaggi, verdure fresche, croccanti, pane fragrante fatto in casa e olio d’oliva della tenuta dello zio. Niente di costoso, ricercato, ma tutto appetitoso.

Arriviamo quindi ad un altro classico della cucina: “Julie & Julia”, qui i manicaretti si sprecano, ma quello che colpisce, e non ha colpito solo la qui presente, ma tante altre blogger, è la prima cena che si vede cucinare a Julie nel nuovo appartamento; una semplice bruschetta con peperoni e pomodori di cui si ha l’impressione di sentirne persino il profumo. Ecco è proprio di questa che vi racconto oggi, ho voluto provare a realizzarla, riadattata a quanto avevo nel frigorifero e devo ammettere che è piaciuta tanto, da averla già riproposta più e più volte.

Bruschetta alla “Julie & Julia”

Ingredienti per 2 persone: 4 fette di pane casereccio, 1 peperone giallo, 1 peperone verde, 1 peperone rosso, 1 spicchio d’aglio, 1 fettina di Roquefort, olio EVO, 1 noce di burro, sale, pepe e origano qb.

Imburrare le fette di pane da un lato e farle tostare in una padella antiaderente appoggiandole con il lato imburrato rivolto verso la padella.

Pulire e tagliare a pezzettoni irregolari i peperoni, versare un cucchiaio d’olio in una padella e farvi soffriggere l’aglio, unire i peperoni e farli saltare ripetutamente, regolare di sale e pepe (non troppo sale in quanto il roquefort è molto saporito), cospargerli di origano e lasciarli a fuoco vivace fino a quando saranno cotti ma non appassiti.

Disporre i peperoni sulle fette di pane croccanti e dorate e guarnire con il roquefort sbriciolato.

Mangiate calde sono una vera delizia e contrariamente a quanto si possa pensare sono molto leggere.

Come direbbe Julia: Bon Appetit!

Bruschette alla Julie & Julia

 

 

 

Pomeriggio

progresso

Oggi pomeriggio mi sono rintanata nello studio che spesso si tramuta in angolo stiro e, mentre cercavo di togliermi di torno un’immensa montagna di maglie, magliette e pantaloni, ho  deciso di guardare uno dei miei “film da stireria” come li ha ribattezzati Matilde: “C’è posta per te” con Meg Ryan e Tom Hanks.

E’ vero, guardo sempre gli stessi film: “C’è posta per te”, “Julie and Julia”, “Twister”, “Chocolat”… o i film italiani in bianco e nero, per intenderci quelli con Aldo Fabrizi, Ave Ninchi, quelli in cui non si notava tanto intensamente la differenza tra finzione e realtà, la vita quotidiana era raccontata fedelmente. Non sono film impegnativi e sono la compagnia giusta da condividere con il ferro da stiro.

Ovviamente, data la mole di panni da stirare, il film l’ho ascoltato più che guardato, ed è stato proprio qualcosa che ho sentito che mi ha fatta pensare. Ad un certo punto del film, Meg Ryan è costretta a vendere la piccola libreria, ereditata dalla mamma, perché non è in grado di competere con il colosso che ha aperto la grande libreria Fox, si sfoga scrivendo al suo amico di mail, lo sconosciuto NY152, (che altri non è, se non lo stesso Tom Hanks), a lui racconta di quanto sia triste e di quanto le sia costato fare questo passo. -…qualche sciocco che probabilmente penserà che è un tributo da pagare a questa città, il fatto che ti cambi continuamente sotto gli occhi, in modo tale che non ci puoi mai contare…- tutto cambia, tutto si evolve e noi dobbiamo evolverci con esso, o dobbiamo accettarlo.

Sono consapevole che tutto quanto ci circonda sia in continuo movimento, ma ci sono momenti in cui mi chiedo, forse spinta dalla nostalgia, se c’era davvero bisogno di cambiare, se le cose non potevano restare com’erano.

E’ vero, le città per piccole che siano, mutano continuamente, i piccoli supermercati di quartiere sono stati sostituiti dagli ipermercati, i cinema del centro dalle multisala, ogni cosa è diventata “grande”, “iper”, c’è stato il momento della viabilità e allora tutti a costruire tangenziali, rotonde per sostituire i vecchi incroci, al punto che non ci ricordiamo più che aspetto avesse la nostra città in quella determinata via o nei pressi di quella determinata piazza.

Treni che ti portano a centinaia e centinaia di chilometri di distanza in un battibaleno, perdendo così il panorama che si poteva scorgere dal finestrino, quando vedevi il paesaggio che cambiava davanti ai tuoi occhi fino a quando arrivavi a destinazione. Ma chi ha tempo per stare a guardare fuori dal finestrino? Mi sembra di sentirla , questa domanda, mentre state leggendo queste righe; nessuno oggi guarda più il cielo, nessuno guarda più le altre persone. Abbiamo fretta, sempre fretta, saremmo contenti se si potesse manipolare il tempo in modo da avere più ore a disposizione.

A me però piaceva fare la spesa nella bottega del mio quartiere, dovevi passare almeno tre negozi per portare a casa quello che serviva e ti fermavi almeno mezz’ora in ognuno, ma non perché c’era la fila alla cassa; mi piaceva quando, con mia madre, andavamo a trovare la signora Giulia, la casellante (perché i passaggi a livello non erano automatizzati) e aspettavo che arrivasse il treno, quante storie mi immaginavo osservando i passeggeri che si affacciavano al finestrino; mi piaceva quando si andava al cinema, quando ti staccavano il bigliettino rosa, verde, arancione, giallo, azzurro o bianco, che tenevi per ricordo, quasi fosse un evento eccezionale e tutto quello che ti potevi portare in sala erano le caramelle; mi piaceva quando si andava al mercato e la piazza era coperta di bancarelle e non dai tavolini dei ristoranti; mi piaceva quando in piscina (comunale) ci andavi per fare il bagno o i corsi di nuoto e non per fare l’idromassaggio o l’acquagym.

Sarò una nostalgica, sentimentale ma mi sembra che questa “evoluzione” ci tolga sempre più quella che è la nostra umanità. Vi ricordate (e qui mi rivolgo ai vecchietti come me) quando si ipotizzava un futuro in cui i robot avrebbero preso il posto degli uomini? Siamo noi che ci mutiamo in automi, non sono loro a prendere il nostro posto.

La protagonista del film è stata costretta a chiudere la sua attività, perché non poteva competere con la grande distribuzione, adesso che siamo avvezzi a questo mondo in cui tutto è “mega”, che siamo abituati al “tutto e subito”, in che modo dovremo pagare il nostro tributo al progresso? Quale sarà la prossima evoluzione?

– immagine presa dalla rete –