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Un milione di volte

Photo by Max Laurenzi

Si incontrarono, quando lei aveva deciso di smettere di soffrire, quando aveva chiuso con i sentimenti, quando aveva indossato la più resistente delle armature. Si incontrarono perché il destino fa così, aspetta che tu te la sia fatta passare per torturarti ancora, per far crollare i tuoi più solidi propositi. Era sicura che non si sarebbero più rivisti, che lui avrebbe fatto di tutto pur di non incontrarla. Si era sbagliata, il destino aveva già tessuto la sua trama, non aveva vittime più adatte per quello strano gioco che voleva provare da sempre, di questi due “intimi sconosciuti”.

Così era successo. Un tardo pomeriggio di fine settembre, quando le giornate sono un po’ più corte ed è bello fare due passi in centro con la luce del sole che si avvia al tramonto. Due passi prima di tornare a casa per la cena; due passi non frettolosi per poter dare una scorsa alle vetrine che, oddio!, espongono articoli invernali. Con questo caldo!

Ama camminare con la luce rossastra del sole negli occhi; si incrociano solo sagome scure, si corre il rischio di non salutare qualche conoscente, perché in controluce non si distinguono i volti, ma è così bello lasciare che gli occhi si riempiano di questa luce calda e limpida, per poi alzarli ed immergersi nel cielo blu, da cui qualche stella comincia a fare capolino.

Sono tante le persone che le passano accanto, qualcuna va di fretta, qualcuna trascina l’ombra recalcitrante di un cane che deve annusare ogni centimetro di marciapiede; altre sembrano saltellare, si spostano con passo disordinato da un lato all’altro, sono ragazzi, beata gioventù; qualcuna arriva lentamente, con passo affaticato, magari aiutata da un bastone o appoggiata ad una figura più in forze, una badante, è un bel momento anche per gli anziani, quando c’è meno confusione e il caldo è meno opprimente; sì perché quest’estate sembra proprio non volersene andare.

Poi lui. La sua sagoma inconfondibile. In realtà simile ad altre mille, ma lei la riconoscerebbe ovunque. Non lei veramente, ma il suo cuore che per una frazione di secondo sprofonda nel suo corpo come inghiottito da un buco nero.

Aveva istintivamente rallentato il passo. Anche lui, le era sembrato, ma poteva anche solo averlo immaginato. E poi era ripartita decisa, come i cavalieri che si sfidavano in una giostra medievale.

Si erano incrociati, forse lui si era girato a guardarla, ma lei aveva tirato dritto, non poteva fermarsi, doveva prima riuscire a ripescare il cuore dall’abisso in cui si era tuffato. Lo sentiva battere all’impazzata nelle tempie, nelle gambe che stavano tremando; no, non poteva correre il rischio di svenire davanti a lui, sì, era così che si sentiva, si sentiva svenire.

Aveva proseguito ancora per qualche metro, poi si era voltata, lui era ancora là, fermo, non era girato verso di lei, di sicuro l’aveva riconosciuta; che sciocca!, lei non era in ombra, lei era in pieno sole, certo che l’aveva riconosciuta!

Si era fermata davanti alla vetrina di una caffetteria, ed era stato lì che mi aveva vista.

-L’ho incontrato. Adesso.-

-Tutto bene?-

-Mi manca il fiato, ho il cuore che sta per scoppiare, ma a parte questo sto bene.-

-Ti ha parlato?-

-No, non ho avuto il coraggio di fermarmi, di parlare, ho capito che era lui anche se avevo il sole negli occhi… e poi sono scappata.-

Era stato quel momento che qualcuno si era avvicinato a lei e le aveva posato una mano sulla spalla.

-Ciao…-

Potevo sentire quei due cuori battere furiosamente all’unisono e le migliaia di frasi in attesa sulle loro labbra. Mi sentivo trasparente, li ho lasciati soli.

E così si erano incontrati, guardati. Gli occhi dell’uno persi negli occhi dell’altra, si erano parlati, chiariti, spiegati, avvicinati, sfiorati, toccati e dopo essersi toccati si erano annusati, assaggiati, accarezzati, abbracciati, avvinghiati, assaporati, posseduti fino a non distinguere le loro anime una dall’altra e poi, qualcosa che lei aveva sempre saputo, quello che non era frutto della sua immaginazione, era la voce di lui quella che sentiva adesso:

-…sapevo che sarebbe stato così…-

-Perché?-

-Perché l’ho sognato un milione di volte…-

Photo by Max Laurenzi

 

 

Anno nuovo, pagina bianca.

Buon Anno!

Il 2017 che tanto abbiamo temuto se n’è finalmente andato, lasciando dietro di sé trecentosessantacinque giorni non facili, almeno per quanto mi riguarda da vicino, ma ai quali sono comunque sopravvissuta.

Ogni anno che inizia ci vede davanti alla classica pagina bianca, la prima di un nuovo capitolo della nostra vita da riempire, ricchi di buone intenzioni: “Quest’anno curerò di più il mio aspetto”, oppure “quest’anno mi iscriverò in palestra” o ancora “quest’anno farò quel viaggio che desidero fare da sempre” e tanti altri buoni propositi, ma spesso nessuno di questi viene realizzato.

Io non sono certo l’eccezione, anzi ho detto talmente tante volte farò, sarò, andrò, dirò che poi non ho messo in pratica, da convincermi a non fare nessun progetto per questo 2018 che ha appena aperto gli occhi.

Tutto quello che farò, penserò, scriverò, realizzerò, costruirò, riceverò sarà ben accetto; nessun obiettivo da raggiungere, nessun sogno da realizzare, nessun impegno da prendere.

Vivrò alla giornata, accettando quello che ogni giornata mi porterà, in bene o in male (perché si sa che non viviamo propriamente in paradiso), godendomi i successi e riflettendo sulle sconfitte, senza sentire quella vocina che ti dice: “Avevi promesso che, entro l’anno…”.

Questo non significa che non abbia sogni o desideri, semplicemente ho tolto le scadenze che servono solo ad aumentare l’ansia e ho scelto di avere una sorpresa ogni giorno.

Ecco fatto, la prima pagina del nuovo anno non è più bianca…

Buon proseguimento.

 

photo by R.Pietresato

 

Che il 2017 abbia inizio

Tavola 31/12/'16Buon Anno!

 

Sono stata assente parecchio tempo, un po’ per impegni della streghetta, un po’ per la solita incertezza che ogni tanto ha la meglio sulla mia voglia di scrivere e pubblicare post qui sul blog.

servizio fotografico

Ad inizio dicembre Matilde ha posato per il suo servizio fotografico di Natale; non abbiamo mai pensato di farlo quando era piccolina, ma quest’anno abbiamo deciso di approfittare dell’offerta della scuola di danza che Matilde frequenta, e così, un sabato pomeriggio, armata di cambi d’abito e di “trucco e parrucco”, è stata protagonista su un vero e proprio set fotografico. Più di un centinaio di foto, una meglio dell’altra (e non vi dico che sofferenza doverne scartare…) che hanno contribuito a renderci, se possibile ancora di più genitori adoranti.

Poi lo spettacolo di danza di Natale, che quest’anno si è fatto notare parecchio per le innumerevoli ore di prova con e senza costumi di scena, prima a scuola e poi in teatro, fino al giorno stesso dello spettacolo, che ci ha tenute in ballo dal primo pomeriggio fino a notte. Un successo! Ma il fatto che il giorno seguente ci si dovesse recare al lavoro e a scuola ha pesato un po’.

Altra novità di Natale sono state le lezioni di danza aperte al pubblico, inviti sparsi ai quattro venti e inviti ricevuti per altri corsi che Matilde non frequenta, ma che vedono impegnate ragazzine della sua stessa scuola media.

Un altro appuntamento a cui non potevamo assolutamente mancare: i colloqui generali del primo quadrimestre; non avevo ancora mai visto in viso nessuno dei nuovi insegnanti di Matilde alle medie, se non la professoressa di italiano e storia e quella di francese. Un misto di curiosità e agitazione, impazienza e timore: -Cosa ci diranno adesso? Sarà davvero come ci racconta quando è a casa o ci diranno che è distratta, svogliata, irrispettosa…- e chi più ne ha, più ne metta; non sapevamo davvero cosa aspettarci, ma devo ammettere che siamo usciti più che soddisfatti, augurandoci che questo sia l’andamento per i prossimi anni.

A questo punto dicembre era ormai giunto agli sgoccioli ed io non avevo ancora scritto nemmeno due righe, o meglio, avevo iniziato diversi post, ma non li avevo finiti in tempo per pubblicarli, tutti cestinati. Non mi riusciva di rispettare una scadenza, accidenti!

Natale. Trascorso all’insegna della tradizione, con la famiglia di mio marito, con i nonni ahimè sempre più curvi sotto il peso degli anni e con i nipoti sempre più grandi, ormai adulti (eccezion fatta per Matilde).

Siamo giunti così all’ultima sera dell’anno, che avremmo voluto trascorrere sul nostro camper lontano da casa, piano sabotato da una brutta influenza che mi ha tenuta chiusa in casa, ma che non mi ha impedito di cucinare; così mi sono sbizzarrita in stuzzichini per l’aperitivo che vi illustrerò nei prossimi appuntamenti con “La cucina di Due streghe e un pezzetto”.

Ed eccoci al 2017!

Devo dire che, a differenza degli anni passati, quest’anno ho davvero avuto l’impressione, il 2 gennaio quando sono tornata al lavoro, di aver “voltato pagina”, di aver aperto un capitolo nuovo, un quaderno nuovo tutto da riempire. Non ho grandi aspettative, non ho progetti particolari, ma ho la consapevolezza che sarò io a scrivere le pagine questa volta, non mi limiterò a leggerle e a metterle in pratica, ma ne sarò l’autrice.

Quindi benvenuto nuovo anno! Che possa essere proficuo per tutti noi!

Pomeriggio

progresso

Oggi pomeriggio mi sono rintanata nello studio che spesso si tramuta in angolo stiro e, mentre cercavo di togliermi di torno un’immensa montagna di maglie, magliette e pantaloni, ho  deciso di guardare uno dei miei “film da stireria” come li ha ribattezzati Matilde: “C’è posta per te” con Meg Ryan e Tom Hanks.

E’ vero, guardo sempre gli stessi film: “C’è posta per te”, “Julie and Julia”, “Twister”, “Chocolat”… o i film italiani in bianco e nero, per intenderci quelli con Aldo Fabrizi, Ave Ninchi, quelli in cui non si notava tanto intensamente la differenza tra finzione e realtà, la vita quotidiana era raccontata fedelmente. Non sono film impegnativi e sono la compagnia giusta da condividere con il ferro da stiro.

Ovviamente, data la mole di panni da stirare, il film l’ho ascoltato più che guardato, ed è stato proprio qualcosa che ho sentito che mi ha fatta pensare. Ad un certo punto del film, Meg Ryan è costretta a vendere la piccola libreria, ereditata dalla mamma, perché non è in grado di competere con il colosso che ha aperto la grande libreria Fox, si sfoga scrivendo al suo amico di mail, lo sconosciuto NY152, (che altri non è, se non lo stesso Tom Hanks), a lui racconta di quanto sia triste e di quanto le sia costato fare questo passo. -…qualche sciocco che probabilmente penserà che è un tributo da pagare a questa città, il fatto che ti cambi continuamente sotto gli occhi, in modo tale che non ci puoi mai contare…- tutto cambia, tutto si evolve e noi dobbiamo evolverci con esso, o dobbiamo accettarlo.

Sono consapevole che tutto quanto ci circonda sia in continuo movimento, ma ci sono momenti in cui mi chiedo, forse spinta dalla nostalgia, se c’era davvero bisogno di cambiare, se le cose non potevano restare com’erano.

E’ vero, le città per piccole che siano, mutano continuamente, i piccoli supermercati di quartiere sono stati sostituiti dagli ipermercati, i cinema del centro dalle multisala, ogni cosa è diventata “grande”, “iper”, c’è stato il momento della viabilità e allora tutti a costruire tangenziali, rotonde per sostituire i vecchi incroci, al punto che non ci ricordiamo più che aspetto avesse la nostra città in quella determinata via o nei pressi di quella determinata piazza.

Treni che ti portano a centinaia e centinaia di chilometri di distanza in un battibaleno, perdendo così il panorama che si poteva scorgere dal finestrino, quando vedevi il paesaggio che cambiava davanti ai tuoi occhi fino a quando arrivavi a destinazione. Ma chi ha tempo per stare a guardare fuori dal finestrino? Mi sembra di sentirla , questa domanda, mentre state leggendo queste righe; nessuno oggi guarda più il cielo, nessuno guarda più le altre persone. Abbiamo fretta, sempre fretta, saremmo contenti se si potesse manipolare il tempo in modo da avere più ore a disposizione.

A me però piaceva fare la spesa nella bottega del mio quartiere, dovevi passare almeno tre negozi per portare a casa quello che serviva e ti fermavi almeno mezz’ora in ognuno, ma non perché c’era la fila alla cassa; mi piaceva quando, con mia madre, andavamo a trovare la signora Giulia, la casellante (perché i passaggi a livello non erano automatizzati) e aspettavo che arrivasse il treno, quante storie mi immaginavo osservando i passeggeri che si affacciavano al finestrino; mi piaceva quando si andava al cinema, quando ti staccavano il bigliettino rosa, verde, arancione, giallo, azzurro o bianco, che tenevi per ricordo, quasi fosse un evento eccezionale e tutto quello che ti potevi portare in sala erano le caramelle; mi piaceva quando si andava al mercato e la piazza era coperta di bancarelle e non dai tavolini dei ristoranti; mi piaceva quando in piscina (comunale) ci andavi per fare il bagno o i corsi di nuoto e non per fare l’idromassaggio o l’acquagym.

Sarò una nostalgica, sentimentale ma mi sembra che questa “evoluzione” ci tolga sempre più quella che è la nostra umanità. Vi ricordate (e qui mi rivolgo ai vecchietti come me) quando si ipotizzava un futuro in cui i robot avrebbero preso il posto degli uomini? Siamo noi che ci mutiamo in automi, non sono loro a prendere il nostro posto.

La protagonista del film è stata costretta a chiudere la sua attività, perché non poteva competere con la grande distribuzione, adesso che siamo avvezzi a questo mondo in cui tutto è “mega”, che siamo abituati al “tutto e subito”, in che modo dovremo pagare il nostro tributo al progresso? Quale sarà la prossima evoluzione?

– immagine presa dalla rete –

Foglie cadute

11694991_921441451264507_4760885420974139673_n1Stamani Mantova si è svegliata avvolta da una nebbia leggera; quella nebbia che vela le cose ma non le cela, le avvolge piuttosto in un alone di mistero.

Sono uscita di casa presto, era ancora buio e, quando l’autobus è arrivato in centro città, anziché aspettare che ripartisse, vista la temperatura mite, sono scesa ed ho fatto a piedi l’ultimo tratto di strada per recarmi al lavoro. La strada costeggia un parco pubblico ed il marciapiede era cosparso di foglie, cadute un po’ per l’autunno e un po’ per la pioggia, di tante tonalità di giallo, dal giallo carico, caldo, intenso, al giallo più acido, quasi verde, qua e là qualche foglia rossa e qualcun’altra marrone interrompevano la macchia dorata. Qualche fogliolina si staccava ogni tanto e si posava a terra, andava silenziosamente a raggiungere le altre per completare il tappeto che di lì a qualche ora sarebbe stato spazzato via dagli operatori ecologici.

C’era ancora poco traffico, non passavano molte auto e riuscivo a sentire il rumore dei miei passi sulle foglie non completamente impregnate d’acqua, se solo avessi potuto chiudere gli occhi mentre avanzavo, senza rischiare di finire contro un palo dell’illuminazione pubblica, avrei potuto tranquillamente affermare di essere in un bosco, in montagna, sentivo il profumo della terra bagnata, degli alberi e non di smog, come spesso succede quando l’umidità è pesante come stamattina da sembrare pioggia; ho alzato lo sguardo verso il cielo, chissà forse con la segreta speranza di vedere i rami intrecciati degli alberi, ma era ancora piuttosto buio, sentivo solo le minuscole goccioline che cadevano sul viso e sugli occhi. Ero lì, a pochi metri dal mio posto di lavoro, eppure distante chilometri. Talmente distante che la strada sembrava non finire mai, eppure sono arrivata alla solita ora di ogni giorno, di ogni settimana… Ho aperto il grande cancello e sono entrata, lasciandomi alle spalle quel breve incontro a tu per tu con l’autunno inoltrato.

Immagine di R.Pietresato

 

 

 

 

Una nuova avventura

E’ davvero una bella avventura quella che attende Arianna, l’amica gemella di Matilde, che stamattina è partita alla volta di Vienna.

Andiamo con ordine, Matilde ed Arianna sono nate lo stesso giorno, alla stessa ora, con gli stessi giorni di ritardo sulla data del termine per il parto e sono uscite dalle sale parto nella stessa incubatrice che le avrebbe accompagnate alla nursery. Chi più gemelle di loro?

Anche noi genitori ci conoscevamo già, i papà per lavoro e noi mamme per tutte le volte che ci siamo incontrate in ospedale durante i monitoraggi eccetera; abbiamo anche la fortuna di abitare a trecento metri di distanza, nello stesso quartiere. Non è stato difficile far crescere insieme le due bambine, hanno frequentato lo stesso asilo nido, la stessa scuola d’infanzia, anche se non nella stessa classe, e la medesima scuola primaria.

Sembrerà strano, ma pur non essendo accomunate da nessuna parentela, men che meno da quella di fratellanza, le due bambine sono cresciute con quella simbiosi (se così si può chiamare) tipica dei gemelli.

La scelta di un paio di sandali, scarpe, di un determinato capo di abbigliamento, di un film da vedere, di un regalo da chiedere a Santa Lucia, la pizza da farsi portare a casa e, tra le altre infinite cose, l’attività da svolgere dopo la scuola sono sempre state, inspiegabilmente identiche.

Quando la stragrande maggioranza delle loro compagne aveva optato per pallavolo o ginnastica artistica, loro due, mosche bianche in mezzo alla conformità della moda, hanno scelto danza classica.

Le “gemelline”, come le abbiamo soprannominate, non hanno frequentato la stessa scuola di danza e, mentre Matilde, dopo tre anni ha deciso di passare dal classico al modern/contemporaneo, Ary è rimasta fedele al suo sogno, ha cambiato scuola ma sempre frequentando i corsi di danza classica.

La loro attività è andata di pari passo, per Matilde come attività sportiva, per Arianna come impegno vero e proprio. Le lezioni si sono moltiplicate e l’impegno richiesto era sempre maggiore. Tutti questo sacrifici, ore e ore alla sbarra, poco tempo per le amiche hanno dato però buoni frutti: lo scorso dicembre Arianna ha avuto la parte della protagonista ne “Lo Schiaccianoci”, pur essendo una delle allieve più giovani della sua scuola.

Ha partecipato alle audizioni per il Royal Ballet di Londra e per il Teatro dell’Opera di Vienna.

A Londra è stata ammessa ad uno stage di una settimana quest’estate, mentre all’Opera di Vienna… beh, è stata ammessa a frequentare l’Accademia di danza.

Così, tra mille pensieri, lo studio, la danza, la lingua ( diciamolo, non si parla molto dalle nostre parti il tedesco) sconosciuta, perché alla primaria si studia solo inglese, e il fatto di avere solo undici anni, Arianna si è preparata per questo grande giorno.

Saluti e baci alle amiche di sempre, stamattina la nostra stellina è partita.

In bocca al lupo Ary!

Siamo orgogliosi di te per il grande coraggio e siamo vicinissimi ai tuoi genitori che hanno assecondato il tuo più grande desiderio, rinunciando in parte a vederti crescere; l’età più difficile la trascorrerai lontana da mamma e papà, lontana dai luoghi che ti sono famigliari.

Ma questi genitori sono da ammirare, io non so se sarei proprio tranquilla sapendo mia figlia a chilometri di distanza, sapendo che ha solo undici anni.

E’ vero che è più che seguita, ha le giornate organizzate alla perfezione, ma il mio lato di mamma chioccia mi porta a sentire la mancanza della mia bambina. So per certo che anche la sua mamma ne soffre, ma questa è davvero una grande opportunità, se tutto andrà come ci auguriamo ci saranno portoni che si spalancheranno per lei, e se dovesse ripensarci avrà sempre l’affetto e l’appoggio delle amiche, prima fra tutte la sua gemella Matilde.

Perciò Arianna, spero di poter scrivere presto di te.

Un abbraccio, sii sempre coraggiosa così!

Vienna Opera

Amore ad ogni costo

Provenza“Amore ad ogni costo” perché?

Sono talmente tante le cose da scrivere dopo tutta questa estate passata in silenzio che devo riordinare le idee per cercare di organizzare qualche post futuro; ma l’idea di scrivere adesso è nata da un pensiero. Un pensiero che mi ha sfiorato guardando un film, passato sulla rete nazionale e rigorosamente registrato perché da bravi vecchietti, la sera andiamo a nanna con le galline.

“Un estate in Provenza” è un film francese di quest’anno, con regista (se non erro) e protagonista Luc Besson; il film narra la storia di due adolescenti e del fratellino più piccolo, sordo dalla nascita, che sono costretti a trascorrere la vacanze estive con i nonni nel sud della Francia, la vita non è certo quella di Parigi, e con il nonno c’è poco da scherzare, un tipo burbero che non ha contatti con l’unica figlia da anni.

Poco importa se a tagliare i ponti è stata la mamma dei ragazzi, per due adolescenti è più facile accusare un vecchio scorbutico, fino a doversi ricredere.

La storia parla di questi due genitori che si sono stabiliti in Provenza a coltivare ulivi (e come dargli torto?), ma inaspettatamente arrivano amici di vecchia data che riportano alla memoria la loro gioventù: gli anni settanta, gli Hippy, l’amore libero, l’uso smodato di droghe… non succederebbe nulla, se ad ascoltare non ci fossero anche i nipoti, che però sono incuriositi dalle storie raccontate.

Dopo varie vicende si assiste ad un avvicinamento tra il nonno e la nipote, ed è in questo momento che ho cominciato a pensare. La nipote è delusa da una faccenda di cuore e si lamenta con il nonno di non credere più all’amore, che per lei non sarà possibile avere un colpo di fulmine come è stato per loro; il nonno le confessa che il colpo di fulmine è stato solo da parte sua, perché la nonna in realtà amava un altro (che purtroppo non c’era più), suo fratello. Le confessa che hanno scoperto di amarsi solo tempo dopo, tant’è che sono ancora insieme dopo tanti anni. Le fa capire che non è la passione travolgente che dimostra il vero amore, non è la bellezza e nemmeno la giovinezza, sono il rispetto e la stima reciproca, nonché una buona dose di fiducia nell’altra persona. Le scelte che hanno fatto nella loro vita erano unanimi, nessuno dei due si sentiva oppresso, soggiogato dall’altro, hanno scelto di rifugiarsi in quello che è davvero un angolo di paradiso, di comune accordo.

Ed è stato qualche giorno dopo, pensando a coppie che si separano per incompatibilità, che ho confrontato il mio matrimonio con la storia di questi nonni (Galattici!). Sono giunta alla conclusione che ogni scelta che abbiamo fatto mio marito ed io, non è stata un tentativo di uno di assecondare l’altro; non ho accettato di fare le mie vacanze in moto perché lui già le faceva così, no, a me piaceva andare in moto; frequentiamo i mercatini dell’antiquariato perché entrambi amiamo gli oggetti del passato, abbiamo deciso di acquistare un camper perché tutti e due non amiamo orari imposti ed itinerari già segnati.

Ho pensato “a lui piaceva…” ma in fondo a me non dispiaceva affatto e mi sono convinta sempre più che quello che manca ai nostri ragazzi, non è tanto la voglia di stare con un’altra persona, quanto la pazienza e la voglia di scoprire che cos’hanno in comune veramente, con quella persona, che ha fatto scattare in loro la scintilla.

Noi abbiamo scelto questo modo di vivere non accontentandoci l’un altro, magari serbando del rancore ben celato, ma condividendo tutto quello che potevamo insieme, pian piano gli angoli si smussano e si prosegue il cammino in compagnia.

Amore ad ogni costo perché se l’amore è alla base di tutto, tutto si aggiusta e tutto si adatta, c’è un lato che fa al caso nostro in ogni cosa, in ogni situazione.

Sono romantica, melensa, sdolcinata… ma chi se ne importa! Evviva gli amori che affrontano le tempeste!

Buonanotte e buoni pensieri.

 

(l’immagine è presa dalla rete)

Liebster award 2016

 

Siamo state nominate per il Liebster award 2016! Doppio woww!

Che dire, siamo rimaste davvero senza parole. Il nostro grazie va a The little Gulliver on tour che molto carinamente ha pensato a noi.

La nostra è un’amicizia virtuale, nata dall’esigenza di voler iniziare un blog; ci siamo aiutate a vicenda ed ora, oltre alla passione per i viaggi in camper, condividiamo anche quella per la scrittura.

Il mio non è un blog a tema. Decisamente. Ma ogni cosa che vi leggerete scaturisce molto dal cuore e poco dalla ragione, sono un’impulsiva, che ci volete fare…

Non mi dilungo oltre e passo direttamente alle risposte:

1. Vi emoziona dire di più “Noi ci andremo” o “Noi ci siamo stati”?

Direi che il “Noi ci andremo” spalanca un’infinità di porte, dalla programmazione di un itinerario (di base), alla ricerca di curiosità, attrazioni, usi e costumi da scoprire, insieme ad una miriade di sogni ad occhi aperti. Per farla breve “non stiamo più nella pelle…” con tanto di conteggio alla rovescia dei giorni che mancano alla partenza.

2. Qual è il souvenir di viaggio più importante?

Quel ricordo che, anche a distanza di anni, continua ad essere vivo nella nostra memoria come se il viaggio si fosse concluso da pochi giorni, che si parli di paesaggio, monumento, cibo o gente conosciuta in viaggio.

3. Quali sono le fotografie di viaggio che più vi emozionano?

Sono le foto rubate, quelle che ci scattiamo mentre gli altri non guardano. Detesto le foto in posa, non hanno niente di spontaneo, naturale. E poi ci sono le foto degli spettacoli naturali, albe, tramonti, angoli di quiete. Ogni foto scattata è un istante di viaggio, è parte del percorso.

4.Come scegliete la prossima meta?

Facendo girare il mappamondo e fermandolo con un dito. Magari!

Scherzavo, in genere decidiamo la zona, e poi l’itinerario viene da sé.

5. Diario di viaggio cartaceo o digitale?

Cartaceo assolutamente. (poi salvato in digitale)

6. Quando è nata la passione per i viaggi?

Chi non ama viaggiare? Noi abbiamo iniziato in moto, con una Honda VFR800, uno spettacolo! Poi, dopo la nascita della streghetta ci siamo attrezzati con un camper, un vecchietto del 1999, ma in ottima forma.

7. Partire all’avventura o partire preparati?

In Italia è sicuramente meglio partire preparati, ma all’estero, e non dico agli antipodi, è bello fissare due o tre mete come riferimento, il resto viene da sé, ogni luogo in cui ci si ferma è una sorpresa.

8. Mare, Montagna o Città d’Arte?

Adoro le città d’arte, a partire dalla mia che quest’anno è Capitale Italiana della Cultura, se dipendesse da me ogni viaggio o gita sarebbe in una città da visitare in lungo e in largo, di sopra e di sotto, ma il fatto di essere una famiglia, significa assecondare i bisogni, le esigenze e i desideri di ogni membro. Quindi i fine settimana in particolare e le ferie di quest’anno ci hanno portato verso il mare.

9.Qual è la cosa, un particolare importante che non potete non fare durante un viaggio?

Essendo anche un’appassionata di cucina, non posso che rispondere “Assaggiare un piatto tipico”.

10. Quali sono secondo voi le 5 canzoni più belle che parlano di viaggi?

Qui sono in difficoltà, non sono tanto le canzoni che parlano di viaggi, che mi restano nel cuore, quanto quelle che mi fanno da colonna sonora durante un viaggio. Adoro “Take me home country road” di John Denver.

 

Ringrazio ancora “The Little Gulliver on Tour” e vorrei nominarlo a mia volta, ma mi rendo conto che è tardissimo, purtroppo a volte ci sono impegni che non ci lasciano un attimo di libertà.

Se il mio blog vi incuriosisce almeno un po’, seguiteci, ne saremo contente.

Due streghe e un pezzetto.