Normalità e nebbia

Bentornata normalità. Finite le feste si ricomincia a ragionare, adesso un sabato è un sabato e la settimana è lavorativa. Mi spiego: ieri mattina sono uscita di casa come al solito alle sette meno dieci per recarmi al lavoro e, benchè avvolta dalla nebbia fosse poco visibile, la pensilina degli autobus era pressochè vuota; mi sono chiesta come mai? al martedì ci sono diversi ragazzi… già, avevo scambiato il venerdì con il martedì; l’Epifania tutte le feste porta via, ma anche il mio senso dell’orientamento in fatto di giorni.

Perciò, stamattina che marito e figlia sono rispettivamente al lavoro e a scuola ed io sono qui che mi ritaglio qualche momento “tutto per me”…evviva, siamo tornati alla normalità! Oggi è sabato! (e sono sicura di non sbagliare).

Bene, una volta salutati i due sopracitati e sbrigate le prime faccende, mi sono concessa una tazza di caffè davanti al pc: cosa scriviamo oggi? Scriviamo di ieri.

Ieri mattina come ho già detto, ci siamo svegliati nella nebbia, come succede ormai da un mese circa; so quanto possa essere pericolosa per chi viaggia in auto, soprattutto quando è molto fitta (come ieri appunto), ma mentre aspettavo l’autobus non ho potuto fare a meno di pensare che la nebbia mi dava l’opportunità di restare nel mondo dei sogni.

Mi spiego meglio, quando ci si trova in mezzo alla nebbia, si sentono i rumori attutiti o non se ne sentono affatto,  si intravedono le sagome di ciò che ci circonda e noi stessi, per chi ci è distante, siamo indistinguibili; quindi se abbiamo lasciato il letto con un sogno interrotto sul più bello, perchè non continuarlo?! ad occhi aperti s’intende.

Tutto quello che mi circonda svanisce: i ragazzini con i loro auricolari, che è come se non li avessero, dato che la musica è sempre a tutto volume; le “pettegole” (eh sì) che se ne vanno al lavoro criticando chi gliene dà; gli eterni insoddisfatti dei servizi pubblici che si lamentano trecentosessantacinque giorni all’anno dei ritardi degli autobus, anche se sono loro a non memorizzare gli orari (ma questa è un’altra storia); le “ochette” che si sentono grandi perchè è il primo anno che prendono l’autobus da sole e continuano a ridacchiare in modo isterico; tutto scompare. Io resto lì avvolta dal mantello dell’invisibilità e osservo, penso, sogno. Oserei dire che mi sento quasi protetta, i miei pensieri come anche la mia espressione, sono al sicuro. Il tempo sembra rallentato, fermo; la luce cambia lentamente,soprattutto in questi giorni d’inverno.

La nebbia ci offre la possibilità di restare soli in mezzo alla folla, quasi invisibili. Soli con noi stessi.

Guardi fuori dal finestrino dell’autobus e cosa vedi? Il nulla. Il viaggio, che non dura più di venti-venticinque minuti, sembra infinito.

Per arrivare in città, devo attraversare i laghi e se appena c’è un po’ di luce è fantastico, l’autobus sembra viaggiare su questo ponte sospeso sul “nulla” diretto verso il “nulla”.

Così sono arrivata al lavoro con la testa ancora un po’ tra le nuvole, o meglio tra i banchi di nebbia.

Questo non vuol dire che adori la nebbia, anzi, sono in pensiero per chi è per strada, per chi si deve spostare a piedi, per chi non può evitare di uscire di casa, ma quando non ci sono pericoli in agguato, la nebbia mi piace, proprio come la neve.

Adesso però devo chiudere la mia parentesi tonda e aprire la graffa della normalità: lavare, spazzare e cucinare. Che cosa si mangia oggi?